Apathy for the devil by Nick Kent;

Apathy for the devil by Nick Kent;

autore:Nick Kent; [Kent, Nick]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Musica
ISBN: 9788862314619
editore: eDigita srl.
pubblicato: 2014-11-12T23:00:00+00:00


1975

FU AI PRIMI DI GENNAIO DEL 1975 che sperimentai i primi significativi sintomi di astinenza. Non avrei dovuto esserne così sorpreso. Il mio uso quotidiano di eroina – e cocaina, tanto per bilanciare – era diventato così ossessivo che ormai spendevo tutti i miei risparmi per la roba. Scrivevo anche, sotto l’effetto delle due droghe, soprattutto a ridosso delle consegne. Se avete letto qualche mio articolo di quel periodo, avrete notato come le frasi diventano più lunghe e contorte man mano che il testo va avanti. Ora sapete perché.

A un certo punto le mie fonti di Chelsea Embankment si prosciugarono per qualche tempo, e il mio intero metabolismo si ribellò. I brividi e gli sbalzi della temperatura corporea non erano insopportabili ma la feroce depressione da cui mi sentivo divorare per quarantott’ore ininterrotte non era un’esperienza che mi sarebbe piaciuto ripetere. Ciò mi portò a prendere quella che fu forse l’ultima decisione sensata di quel decennio. Volli distanziarmi dalla tristezza drogata degli ultimi sei mesi. Ciò significava abbandonare Londra e tutte le sue tentazioni, spostandomi verso climi più esotici. Ma avrebbe dovuto essere un posto dove potevo lavorare. C’era un’unica opzione: l’America, e in particolare Los Angeles. Mi sarei rosolato al sole e avrei setacciato Hollywood in cerca di storie eccitanti da raccontare ai ragazzi a casa. Al tempo, mi sembrò una buona idea. Ma trascuravo un dettaglio fondamentale: nel 1975 Hollywood si stava trasformando sempre più rapidamente nella versione californiana di Sodoma e Gomorra. Pensare di trovarvi una qualche sorta di redenzione personale era un stupidaggine assoluta.

Nelle settimane che precedettero la mia partenza, a febbraio, mi ritrovai immerso nella musica e nella vita breve di Nick Drake. Drake era morto solo qualche mese prima – suicida, a quanto sembrava – ma su nessuno dei quattro settimanali musicali era apparso un necrologio o un articolo che ne piangesse la scomparsa. Io ero talmente preso dai miei tormenti, all’epoca, che dubito di essermi persino accorto della sua morte. Ma verso la fine dell’anno ero sempre più consapevole che la sua dipartita prematura dovesse essere affrontata, e i tre dischi che aveva pubblicato in vita celebrati. Anche se in ritardo. Sono sempre stato un suo ammiratore, da quando ascoltai per la prima volta River Man diffondersi per l’etere grazie a John Peel. Nell’autunno del 1971, proprio mentre mi sistemavo alla London University, comprai una copia usata di BRYTER LAYTER, che diventò la colonna sonora della mia breve esistenza da studente piccolo borghese fuori sede. Ascoltavo il disco e ciò di cui cantava Drake – il sentimento malinconico di chi lascia il verde della campagna inglese per andare a cercare fortuna nella metropoli alienante e ricoperta di cemento – colpiva in profondità il mio stato d’animo del periodo. Era musica da solitari portata al livello della grande arte, e più l’ascoltavo, più mi convincevo che avevamo perso uno dei maggiori talenti musicali inglesi della seconda metà del Ventesimo secolo. Ian MacDonald – che aveva frequentato per breve tempo Drake quando erano entrambi studenti



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